martedì 3 novembre 2015

Luce e Architettura. Analisi, Storia e Progetto.


Non c'è bisogno di dare una definizione di ciò che è la luce naturale, ma abbiamo bisogno di ricordare che questo tipo di luce ci permette di definire ciò che è intorno a noi, sia di giorno che di notte.
In Luce, o assenza di luce, abbiamo una trasformazione di questo spazio in ogni stagione, ogni giorno dell'anno, ogni ora del giorno, praticamente in ogni momento.

Per quanto riguarda l'Architettura, quindi, quali rapporti ha con la luce naturale?

Lao-Tse, antichissima figura leggendaria della cultura cinese in una delle sue tante frasi celebri dice che "l'architettura non è quattro mura e un tetto; è anche, e soprattutto, l'aria che rimane all'interno, lo spazio che questi racchiudono ".

Architettura e luce, o la luce e l'architettura sono stati concetti interdipendenti nel corso della storia, al punto che uno dei saggi più importanti di Bruno Zevi si chiama: "luce come un architettonico modulo ".

Le Corbousier arrivò al punto di dire che "l'architettura è il saggio, corretto e magnifico dei volumi raccolti insieme sotto la luce ".

Questa relazione tra luce e architettura si verifica inevitabilmente; a volte consapevolmente, altre volte inconsciamente, e non importa se stiamo parlando di concetti e percezioni difficili con cultori dell’architettura o a semplici amanti dell’architettura o profani.
E’comunque quasi impossibile immaginare le opere delle grandi Archistar senza stabilire una relazione importantissima con la luce.
 Etianne-Louis Boullé afferma che "l'arte di toccare con effetti di luce appartiene alla architettura", e ha ragione, perché, a seconda di come questa arte viene utilizzata, può trasformare radicalmente il contesto spaziale, creando sensazioni gradevoli o sgradevoli, sublimi o misteriose, conferire sensazioni di allargare uno spazio o di renderlo più piccolo, o altrimenti semplicemente di evidenziare aspetti di spazio che più o meno ci interessano.
"È la luce che dà la sensazione di spazio. Lo spazio è annullato dall'oscurità. Luce e spazio sono inscindibili. Se si elimina la luce, il contenuto emotivo dello spazio scompare e diventa impossibile coglierlo", scrisse Siegfried Giedion.
Nell'arte plastica la funzionalità della luce è un elemento imprescindibile, capace di conferire volume e densità a spazi che non sono soltanto oggetto dello sguardo ma soprattutto luoghi vissuti. La luce, contrapponendosi alle tenebre, è anche uno dei temi del simbolismo che ha influenzato l'architettura a livello religioso e psicologico, creando atmosfere storiche dal tutto particolari.

L’ARCHITETTURA E LA LUCE, EVOLUZIONE STORICA.

Delle architetture più antiche, sappiamo che erano concepite come enormi sculture vivibili ma, come le sculture, il loro rapporto con la luce del Sole era tutto giocato sulle superfici esterne.
Questo  rapporto era spesso basato sull’orientamento spaziale degli elementi strutturali e compositivi alla ricerca di un perfetto ordine cosmico da riportare nell’architettura.
È questo, probabilmente, il senso del cromlech di Stonehenge (1.800 a.C.).

È questo probabilmente anche quello che è accaduto con le piramidi; tombe monumentali che sono un perfetto esempio di perfetta sapienza costruttiva e spirituale, una connessione perfetta in tutti i sensi tra cielo e terra.


Nel Tempio Greco (VI-V sec. a.C.),architettura armonica, perfettamente misurata ma accessibile solo ai sommi sacerdoti.
In questa architettura la luce fa vivere le scanalature delle colonne, la tornitura del capitello, i profondi solchi dei triglifi e i forti bassorilievi dell’apparato scultoreo.

Saranno i Romani a realizzare, per la prima volta, spazi architettonici vivibili definiti dalla luce.
Nella chiesa pagana di Santa Maria ad Martyres, edificio sacro costruito come luogo di ricerca sia della perfezione spaziale che di una naturale luce contemplativa.
 Il Pantheon si presenta come una sfera perfetta che simboleggia la volta celeste; l'altezza della cupola è identica al diametro e crea un'armonia unica. L'unica fonte di luce penetra all’interno dall'oculus, l'apertura di nove metri di diametro che si trova al centro della cupola: una luce che viene dall'infinito, insieme naturale e divina, ritenuta epifania del tempo divino e accordata al tempo dell'uomo.

Il fiotto di luce che penetra nell’oculo della cupola, o nel compluvium di una domus o, ancora, dalle aperture di un ambiente termale o di un mercato coperto svela proporzioni, armonie, materiali, tessiture.  Si può dire che la luce indiscutibilmente crei l’architettura.

Nella maggior parte dei casi, però, si tratta ancora di una luce funzionale, studiata per consentire un uso ottimale degli spazi in qualsiasi momento della giornata.
Nel  IV sec. d.C., l’architettura romana confluisce in quella paleocristiana e la luce comincia ad assumere un carattere più spiccatamente simbolico. È luce divina, segno di una soprannaturale presenza all’interno del luogo sacro.

Con la diffusione dell’arte bizantina, la luce divina (“riscaldata” da finestre in alabastro) si moltiplicherà in maniera quasi esponenziale, riflessa all’infinito dai mosaici a fondo oro.
È un’epoca definita “fototropica” da Hans Sedlmayr, per il profondo rapporto con la luce realizzato tramite nuove materie luminose.
La parete come chiusura verticale perde quasi consistenza, diventa invece un muro di luce, una superficie che brilla da ogni parte grazie alla posa non complanare delle tessere. In pratica queste, collocate con lievi inclinazioni rispetto al piano sottostante, offrono diversi angoli di riflessione alla luce naturale frammentandola in tutte le direzioni.

Un risultato ancora più suggestivo ed unico è quello che possiamo vivere nella Basilica di Hagia Sophia  ad Istanbul.
Voluta da Costantino, riedificata nel VI secolo e trasformata in moschea nel XV è un vero e proprio Architttura di pietra e luce. Un’immensa cupola (crollata diverse volte) poggia su una cornice continua di quaranta finestre lasciando che la luce inondi lo spazio interno.

La magia dei mosaici dorati continuerà a manifestarsi per tutto il Medioevo in quelle aree rimaste sotto l’influenza bizantina. È per questo motivo che si possono trovare in Sicilia alcuni tra i più eccelsi esempi di questo stile fino al XII secolo.
La Cappella Palatina o nella chiesa della Martorana a Palermo e il Duomo di Monreale, con i loro rivestimenti di tessere d’oro che vanno persino a smussare gli spigoli dei muri, possono essere considerati veri e propri “luoghi di luce“.

Nel resto dell’Europa, con il Romanico dell’XI e XII secolo, le chiese tornano ad esprimere la nuda massa muraria, spoglia e massiccia. La struttura voltata delle navate richiede mura spesse e contrafforti per assorbire la spinta orizzontale che le volte a crociera o a botte esercitano sugli appoggi.
Per questo motivo le finestre sono delle semplici monofore di dimensioni molto limitate. La scarsità di luce che ne deriva conferisce all’interno un tipico aspetto austero e un’atmosfera di raccoglimento.
Per assistere ad un nuovo periodo fototropico occorre aspettare che la struttura della chiesa si faccia esile e trasparente e lasci passare luce in abbondanza.
Con la nascita dell’arco a sesto acuto, della volta a crociera ogivale e degli archi rampanti tipici dell’architettura gotica, le spinte orizzontali si riducono notevolmente e la parete massiccia dei secoli precedenti lascia il posto ad immense vetrate policrome, nuova materia luminosa del XIII e XIV secolo.
La luce, densa e divina, riempie lo spazio e lo colora rendendo visibile il complesso ricamo di vetro delle immense finestre e dei rosoni.

Con il Rinascimento (XV e XVI sec.) la luce torna ad essere rigorosa ed equilibrata. Non potevamo aspettarci altro da un’architettura che trae ispirazione da quella classica…
Nelle chiese e negli altri spazi sacri crea ritmo e solennità e rende leggibile la struttura architettonica in ogni sua membratura.

La luce barocca (XVII e XVIII sec.) invece, coerentemente con una concezione scenografica dell’architettura, tende a rendere gli spazi teatrali e suggestivi.
In molti casi la finestra è nascosta perché si possa percepire l’effetto della luce ma non la sua fonte (esattamente come avviene a teatro in cui quinte e cieletti schermano i proiettori). È così che alcune delle cupole più famose riescono a suscitare ancora meraviglia ed emozione!

In altri la casi le finestre, ampie ed evidenti, partecipano al gioco del chiaroscuro aggiungendo contrasto alle già ricche strutture.

Nel corso dell’Ottocento, tra il Neoclassicismo e altri Revival storicistici, la luce non pare rivelare nuove modalità espressive in architettura.
È solo grazie alle innovazioni introdotte dagli ingegneri (come si è visto per la Torre Eiffel) che la luce trova nuovi spazi nelle grandi volte in ferro e vetro.
Agili e modulari, le gallerie vetrate coprono strade e stazioni sostituendosi del tutto al mattone e alla pietra dei secoli precedenti e, soprattutto, portano la questione della luce al di fuori degli spazi sacri nei quali si era sviluppata per oltre mille anni.

La luce diffusa dai grandi lucernai vetrati diventa un elemento tipico dell’Art Nouveaua fine Ottocento. È una luce morbida ed avvolgente che, senza creare contrasti drammatici, riempie gli eleganti ambienti sottostanti come i palazzi e gli hotel di Victor Horta.

Negli spazi di Antoni Gaudì, in particolare, la luce zenitale o laterale svela le fantasmagoriche forme organiche delle sue architetture, accarezza pareti curve e piove liberamente negli ambienti interni.

Nonostante le enormi differenze tra la concezione plastica dell’architettura di Gaudì e quella funzionalista di Le Corbusier, quest’ultimo ha realizzato nel corso del Novecento alcuni spazi di incredibile suggestione luminosa.
Quella Cappella di Ronchamp (1955) cos’è se non una versione contemporanea dello spazio sacro medievale, mistico e coinvolgente? Qui la luce sfiora le profonde strombature delle finestre o scivola lungo i muri dall’intonaco increspato.

La luce che scorre sulle superfici rendendole, a loro volta, diffusori luminosi, è presente anche nelle architetture di Alvar Aalto. Le sue chiese e i suoi edifici pubblici sono concepiti spesso come grandi amplificatori di luce.

Ma il terreno di esplorazione delle nuove possibilità di uso della luce nel Novecento non saranno più le chiese ma i musei. Musei che fin dai tempi del Louvre erano sistematicamente organizzati con sale chiuse da lucernai anche per la perdurante influenza degli spazi classici.

La suggestione di questo museo è ancora evidente nel Guggenheim (1956) a newYork di Frank Lloyd Wright dove lo spazio centrale è illuminato dall’alto come nei modelli ottocenteschi.
Tuttavia qui la tipologia del museo è stata ripensata in maniera radicale: una rampa continua a spirale si snoda verso l’alto lasciando filtrare una striscia di luce tra una spira e l’altra.

Decisamente innovativo è anche il Kimbell Art Museum a Fort Worth, Texas (1972) di Louis Kahn.
Il progetto si compone di una serie di tunnel affiancati, coperti da volte cicloidali che integrano un dispositivo capace di schermare la luce diretta e rinviarla verso la superficie delle volte che diventano così dei grandi diffusori.

Nel caso del Musée d’Orsay a Parigi (1986) di Gae Aulenti e Piero Castiglioni, si trattava di creare uno spazio espositivo all’interno di una stazione ferroviaria dismessa.
La struttura architettonica, dunque, è pensata per creare delle sale più raccolte e contemporaneamente controllare in modo preciso la luce naturale proveniente dalla volta vetrata.

Nella Menil Collection a Houston, Texas (1986) Renzo Piano ha organizzato una serie pannelli curvi posti sotto una leggera copertura trasparente, in grado di riflettere la luce su entrambe le superfici e di immetterne all’interno la massima quantità ma sempre in modo omogeneo.

Decisamente più complesso è il convogliamento della luce nella Clore Gallery(ampliamento della Tate Gallery of Modern Art) a Londra (1987) di James Stirling.
In questo caso sono presenti dei sistemi meccanizzati di controllo della luce naturale in modo che, con l’eventuale integrazione di luce artificiale, si possa ottenere un’illuminazione sempre costante.

Per andare ad esempi più recenti va ricordato il Kunsthaus a Bregenz (1997) di Peter Zumthor.
Si tratta di un museo concepito per l’illuminazione diurna: la facciata è un involucro satinato che lascia passare la luce dentro apposite intercapedini poste tra i vari livelli dell’edificio.
Nonostante la luce venga trasmessa o riflessa per tre volte (dalla facciata, dai serramenti isolanti e dal lucernario) risulta sufficiente ad illuminare gli ambienti interni. Ogni sala ottiene, così, un’atmosfera di luce naturale sebbene non siano presenti finestrature visibili. Naturalmente nello stesso controsoffitto vetrato sono inserite batterie di lampade fluorescenti che garantiscono l’uso serale del museo.

Osservando l’inizio di questo lungo percorso sembra che sia rimasta proprio l’essenza della luce. Quella capacità di dare forma agli ambienti, anche i più minimali.
Perché come scrive Alberto Campo Baeza “in definitiva, la luce non è la ragion d’essere dell’architettura? La Storia dell’architettura non è ricerca, comprensione e dominio della luce? Il Romanico non è forse un dialogo tra le ombre dei muri e la luce solida che vi penetra come un coltello? E il Gotico non è un’esaltazione della luce che avvampa gli incredibiii spazi con fiamme ascendenti? Il Barocco non può forse essere considerato come un’alchimia di luce dove, sulla saggia mescolanza delle luci diffuse, irrompe un raggio forte, capace di produrre ineffabili vibrazioni? Infine, il Movimento Moderno, abbattuti i muri, non è una inondazione di luce che ancora cerchiamo di controllare? Non è questa un’epoca in cui possediamo tutti i mezzi possibili per dominare la luce?”.

COME PROGETTARE LA LUCE

La progettazione della luce è ciò che consente di migliorare la qualità percettiva degli spazi in relazione alle caratteristiche stesse dell’ambiente e alle predisposizioni e ai desideri di chi ne usufruisce. La luce quindi è un elemento compositivo dello spazio costruito e degli ambiti esterni, ma è anche un elemento fondamentale per rendere gli ambienti più piacevoli in termini di comfort e qualità abitativa.

L’illuminotecnica è la scienza che si occupa di illuminazione naturale e artificiale, con lo scopo di assicurare all’uomo adeguate condizioni visive. Più precisamente l’illuminazione d’interni deve permettere lo svolgimento dei compiti visivi e creare le condizioni di comfort visuale, da cui dipende a sua volta il comfort mentale nei riguardi dell’ambiente visivo.

Questi requisiti vengono soddisfatti quando tutti gli oggetti interni possono essere distinti chiaramente senza difficoltà ed i compiti essere svolti senza sforzo. Per ottenere questo risultato si può utilizzare l’illuminazione naturale integrandola con quella elettrica. Le due opzioni non sono tuttavia equivalenti: infatti sebbene l’illuminazione elettrica, a differenza di quella naturale, possa essere progettata con precise caratteristiche di qualità e quantità, l’illuminazione naturale presenta la migliore qualità di luce (migliore resa dei colori) ed i più elevati livelli di illuminamento raggiungibili, grazie alla sua quantità, impossibili da realizzare con illuminazione elettrica.

Le grandezze fotometriche misurano quindi la quantità di energia radiata nello spettro visibile non in maniera assoluta ma in maniera relativa rispetto alla sensibilità spettrale dell’occhio CIE.

L’illuminazione artificiale è un elemento da curare attentamente perché è ciò che consente di far risaltare un mobile, una decorazione, di creare un’atmosfera, di rimpicciolire o ingrandire un ambiente; tutto ciò va progettato accuratamente prima di arredare un appartamento.
La luce concorre, assieme agli elementi architettonici quali pavimento, pareti e soffitti, a creare uno spazio, per esempio illuminazione e colore non possono essere scelti a posteriori, anzi a volte sono proprio elementi come questi a determinare alcune scelte spaziali.
Inoltre la scelta di un certo tipo di illuminazione può avere delle ripercussioni sul modo di vivere e percepire uno spazio. La luce, oltre ad essere un elemento vitale per l’uomo è un fattore indispensabile per il suo equilibrio psico-fisico; così come per piante e animali.
Sono state svolte delle ricerche per valutare l’influsso che hanno luce e colore sugli aspetti fisiologici e psicologici dell’uomo. Ma è risaputo che una buona qualità della luce e dell’illuminazione contribuisce ad elevare il livello del comfort.

L’energia che arriva dal sole sulla Terra è disponibile sotto forma di energia luminosa sia diretta sia riflessa dalla volta celeste, che insieme costituiscono la luce naturale. In particolare il sole “produce” circa 6 miliardi di lumen per ogni metro quadro della sua superficie. Di questi circa 134 kilolux si diffondono nell’atmosfera terrestre. L’atmosfera ne assorbe circa il 20% e ne riflette nuovamente nello spazio circa il 25%. Una parte del rimanente 55% raggiunge la Terra come radiazione luminosa diretta (condizioni meteorologiche permettendo), il resto è diffuso nell’atmosfera; entrambe queste componenti costituiscono la luce naturale.
All’aperto e durante quasi tutta la giornata, la luce naturale consentirebbe dei livelli di illuminazione molto superiori a quelli richiesti per eseguire le attività negli spazi interni.
L’abile uso dell’illuminazione naturale negli ambienti costruiti è considerato elemento qualificante della progettazione architettonica per due motivi fondamentali: per una migliore gestione dei consumi di energia elettrica per l’illuminazione diurna e per i benefici effetti sulla salute dell’uomo.

L’uomo ha sempre cercato di utilizzare al massimo la luce naturale per illuminare gli ambienti delle case e i luoghi di lavoro attraverso finestre, porte, atri e porticati ed in relazione al loro dimensionamento e alla loro disposizione.

Ma è anche grazie allo studio sull’orientamento e la forma degli edifici, in relazione alla latitudine e ai diagrammi solari, che si possono ottenere adeguati livelli di illuminazione naturale.
 È sempre opportuno verificare le massime altezze del sole nel periodo estivo e in quello invernale in modo che, conoscendo l’inclinazione dei raggi solari, sia possibile favorire o schermare (secondo le necessità) l’entrata del sole negli ambienti interni. In linea del tutto generale possiamo dire che sono consigliabili edifici (soprattutto residenziali) di forma rettangolare orientati lungo l’asse Est-Ovest, con le zone giorno rivolte verso Sud; nelle stanze così esposte la luce diretta penetra, in estate con un angolo di incidenza acuto e, in inverno, quasi orizzontalmente.


Le stanze con finestre esposte a SE e a SO ricevono invece luce diretta sia in estate sia in inverno con raggi bassi che penetrano in profondità nelle stanze. Per le zone notte sarà ideale l’esposizione a Est: i primi raggi solari migliorano la qualità batteriologica dell’aria e la loro colorazione oro-arancio favorisce il risveglio. La quantità di luce che può entrare negli ambienti dipende anche dalla dimensione delle finestre e delle vetrate.
Per garantire una soddisfacente illuminazione, la superficie totale delle finestre di un locale non dovrebbe essere inferiore al 10-12% della superficie calpestabile del locale stesso. Ricordiamo però che aumentando la dimensione delle finestre la luminosità non aumenta proporzionalmente; raddoppiando la dimensione di una finestra non si avrà un aumento della luminosità del 100% ma solo del 60% circa.

Un altro importante accorgimento è quello del posizionamento dell’infisso nel vano finestra, è possibile infatti posizionare il serramento ad una certa profondità dal filo della superficie della parete esterna in base alle specifiche necessità.
Per esempio per una latitudine del nord Italia il surriscaldamento primaverile-estivo non rappresenta un problema, quindi la finestra potrà essere sistemata a filo esterno della parete in modo da ottimizzare l’ingresso dei raggi solari nel periodo invernale; al contrario per una latitudine del sud Italia sarà più opportuno posizionare l’infisso più internamente possibile, per utilizzare l’aggetto della muratura come schermo per i raggi solari.
Altri fattori sono da tenere in considerazione per una migliore illuminazione degli ambienti interni:

  • la profondità della stanza in relazione all’altezza della finestra: meglio non superare una profondità pari a 2-2,5 volte; 
  • le stanze con finestrature alte consentono una maggiore penetrazione in profondità dei raggi solari; 
  • gli ambienti che si affacciano su corti, cavedi, atri o su balconi profondi saranno luminosamente penalizzati; in questi casi aumentando l’altezza del locale (o della finestra) o diminuendo la profondità si miglioreranno i livelli di illuminazione naturale; 
  • la riflessione della luce delle superfici interne ad una stanza è modulabile in base alla tipologia e al colore delle superfici; un muro bianco e liscio rifletterà fino all’85% della luce che lo colpisce, un muro color crema riflette fino al 75%, un muro giallo riflette fino al 65%; un muro color arancio o vermiglio assorbe più del 60% della luce incidente ma allo stesso tempo è un colore che rende molto caldo e accogliente l’ambiente. I parametri di riflessione raccomandabili sono: soffitto 70-85%, muri vicini alle finestre 60-70%, altri muri 40-50%, pavimenti 15-30%; 
  • la manutenzione influenza la qualità dell’illuminazione degli ambienti: finestre verticali sporche riducono del 10% la luminosità dell’ambiente, questo vale anche per i muri sulla misura della loro capacità di riflessione; la mancata pulizia di lampade fluorescenti può causare in tre una riduzione della capacità luminosa del 50%. 


Dal momento che i progettisti si trovano a disposizione una fonte di illuminazione artificiale come la lampadina, sicuramente più competitiva per intensità e disponibilità lungo l’arco della giornata, l’illuminazione naturale viene, per così dire, dimenticata; si arriva addirittura a progettare edifici per uffici in cui gli ambienti di lavoro non hanno nessuna fonte di illuminazione naturale e sono aerati artificialmente; la luce naturale in queste situazioni estreme non è più un elemento di progettazione. Il daylighting consiste nell’uso funzionale della luce naturale per minimizzare l’esigenza di luce artificiale negli edifici.
Dando priorità al daylighting nelle fasi iniziali della progettazione gli architetti hanno la possibilità di realizzare elevati gradi di efficienza dell’illuminazione senza aggiungere costi significativi sia in fase di progettazione sia di realizzazione. Gli strumenti di analisi e simulazione in grado di prevedere il “comportamento luminoso” degli edifici insieme ai nuovi materiali e alle nuove tecnologie devono costituire uno stimolo per tutti i progettisti all’utilizzazione dell’illuminazione naturale.

 Esiste un altro requisito molto importante che è la soddisfazione visiva che dipende da alcuni fattori quali: la distribuzione delle luminanze, la resa del contrasto, il controllo dell’abbagliamento e la resa dei colori.
Le lampade con temperatura di colore di 4000°K garantiscono la migliore resa dei colori e quindi anche l’ottimizzazione dei contrasti. La percezione delle profondità e l’evidenziazione degli oggetti sono direttamente correlati alla distribuzione delle ombre. L’eccesso o la totale assenza di ombre rendono difficoltosa la percezione di un oggetto anche se ben illuminato.

È necessario pensare la distribuzione delle sorgenti luminose in funzione di questi parametri. L’ubicazione delle sorgenti luminose dev’essere anche pensata in modo da evitare il più possibile riflessi e abbagliamenti; ecco il motivo per cui è meglio utilizzare sorgenti luminose a bassa luminanza, schermare le sorgenti luminose (con appositi diffusori) o illuminare gli ambienti tramite luce indiretta riflessa da pareti e soffitti.

Pareti e soffitti dei locali è meglio che siano tinteggiati con colori chiari e opachi per una migliore resa dell’impianto di illuminazione e per evitare fastidiose interferenze nella formazione del colore della luce. Infine anche la manutenzione delle sorgenti luminose ha una notevole importanza: il flusso luminoso di una lampadina coperta di polvere può ridursi anche del 40%; i tubi fluorescenti devono essere sostituiti dopo un certo periodo di utilizzo essendo coscienti del fatto che dopo due anni la riduzione del flusso luminoso può essere anche del 15-20%.

Esistono differenti livelli di illuminazione consigliabili per spazi diversi in base a degli standard e delle linee guida che sono adoperati in molti paesi. Tali livelli dipendono da molti fattori tra cui il tipo di sistema di illuminazione e le attività che si svolgono in un dato spazio.

Va ricordato che la casa è quanto di più personale possa appartenere a ciascuno di noi e quindi le preferenze personali possono costituire un fattore fondamentale per la determinazione del livello di illuminazione. L’illuminazione casalinga diventa quindi l’esempio di quanto possa essere soggettivo “fare luce” e del fatto che non esista una vera norma per illuminare una casa. Le conoscenze scientifiche e tecniche sono lo strumento per raggiungere quegli effetti di luce e di illuminazione che ci siamo prefissati di realizzare nel nostro spazio domestico. In generale gli stili e i livelli di illuminazione che si decide di adottare sono accettabili fintanto che soddisfano i concetti di illuminazione di base e comunque non devono provocare fastidio agli occhi o abbagliamenti.
Ogni stile che viene adottato può mettere in risalto alcuni elementi del design interno o luoghi specifici nello spazio a disposizione.

Il desiderio di dare una certa caratterizzazione all’ambiente, come per esempio sottolineare uno spazio celebrativo o di felicità, può richiedere un’illuminazione maggiore. Possiamo per esempio ottenere l’effetto di un soffitto alto illuminando maggiormente il soffitto stesso o la parte superiore dei muri; possiamo sottolineare l’accrescimento dello spazio in una certa direzione utilizzando un sistema di illuminazione a soffitto che utilizzi file lineari di apparecchiature illuminanti. Il sistema di illuminazione può essere anche usato per indicare delle direzioni di movimento nell’ambiente: si può per esempio aumentare il livello di illuminazione nell’area dove si desidera che le persone si rivolgano.
All’interno di un appartamento si trova una grande varietà di ambienti e di attività. Ciascuna ha le sue specifiche esigenze di illuminazione. È desiderio di tutti i progettisti ottenere un’illuminazione ottimale ed efficace per le funzioni svolte, in ogni singolo ambiente, ma anche esaltare la parte estetica della luce, sia nella scelta del diffusore che nella resa scenica luminosa. Nonostante ciò sono frequenti le situazioni in cui l’illuminazione non è adeguata alle esigenze o risulta addirittura dannosa per la vista.

Ogni ambiente richiede un’analisi attenta che conduca alla scelta del tipo di illuminazione più appropriata: dal tipo di apparecchio al suo corretto posizionamento; dalla giusta temperatura di colore della lampada, alla valorizzazione di alcune zone rispetto ad altre. Compito del progettista, dunque, è quello di ricercare i corpi illuminanti più adatti, proporre impianti semplificati di gestione delle luci, essere in grado di eseguire i primi calcoli di illuminotecnica necessari a garantire il raggiungimento degli adeguati valori di illuminamento per ogni singolo utilizzo dell’ambiente.

Allo stesso tempo è di fondamentale importanza ricordare che per sentirsi bene nel proprio habitat è importante scegliere la fonte luminosa adatta e rispettosa del modo con cui ognuno “vive” la luce. Prima di stabilire la distribuzione e la tipologia delle lampade, è necessario prendere in esame alcuni fattori fondamentali quali la superficie e l’altezza delle stanze, la luce naturale, il colore delle pareti, lo stile e la disposizione dei mobili.

Avendo a disposizione la planimetria completa (riportante altezza dei locali, ingombro e altezza dei mobili, posizione punti luce, posizione piante, tipi di tendaggi ed eventuale presenza di tappeti) è possibile individuare, con l’ausilio di matite colorate, le aree orizzontali (pavimenti, scrittoi) o verticali (librerie, quadri, mobili, pareti) che vorremmo illuminare o evidenziare e definire le direzioni da cui pensiamo sia meglio che provenga la luce.
Questo è il primo passo per una valutazione di massima del numero e del tipo di apparecchi illuminanti necessari e già dopo quest’operazione sarà evidente che l’illuminazione ottimale si ottiene con un apparecchio specifico per ogni compito visivo.

Soffermandoci sulla “quantità” di luce necessaria in ogni ambiente in generale possiamo dire che:

  • In soggiorno occorrono da 50 a 150 lux,
  • In cucina da 200 a 550 lux, 
  • In bagno da 50 a 150 lux;
  • In camera da letto da 200 a 500 lux; 
  • Per i punti luce localizzati si consigliano per leggere da 200 a 750 lux; 
  • Per scrivere da 300 a 750 lux;
  • Intorno allo specchio del bagno da 200 a 500 lux. 

Un altro sistema per calcolare il fabbisogno di illuminazione può essere quello di calcolare 30 Watt per ogni metro quadro di superficie del locale e 15 Watt a metro quadro per corridoi, ingressi e disimpegni.

I livelli d’illuminamento, spesso considerati l’unico parametro degno di attenzione di un impianto, rappresentano invece solo una parte degli effetti realizzati. Ogni persona può gradire livelli d’illuminamento diversi, e anche lo stesso individuo in base al temporaneo stato d’animo e fisico può preferire più o meno lux negli ambienti in cui vive.

  • Per illuminare una stanza dove poter compiere gesti abituali (quindi un’illuminazione diffusa) occorrono 100 lux; 
  • Per le attività che richiedono più attenzione, come truccarsi, cucinare (quindi un’illuminazione localizzata) occorrono da 200 a 500 lux; 
  • Per richiamare l’attenzione su come illuminare un quadro, un oggetto o un dettaglio (quindi un’illuminazione puntuale) occorre da 500 a 1.000 lux. 

L’occhio umano riesce a distinguere delle forme anche con solo 5 lux, percepire forme e colori con almeno 30 lux, leggere e lavorare da 150 lux in poi, in una giornata di sole all’aperto possiamo avere illuminamenti pari anche a 200.000 lux o più.

Per operare in modo più preciso e sicuro si potrà consultare la tabella NORME UNI 10380.
Se si stanno utilizzando delle lampade si possono consultare le informazioni tecniche riportate sui cataloghi. Per ogni sorgente di luce con riflettore incorporato e per i proiettori veri e propri é spesso fornito un semplice schema che visualizza: il cono d’emissione, il diametro della macchia di luce e i livelli d’illuminamento ottenuto a diverse distanze tra sorgente e l’area illuminata: H(m), Emax(lux), En(lux) ø(m).



Per la stesura di questo articolo si ringrazia:

http://www.didatticarte.it/Blog/ 

EDITORE - http://www.intesasanpaolo.com/imprese

http://www.dezeen.com/2009/10/29/486-mina-el-hosn-by-lan-architecture/



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